Il sindaco Ezio Stefàno: «A fine mese gli esami sanitari»
 
 Sindaco Ezio Stefàno, le emissioni di diossina non danno tregua
Sindaco Ezio Stefàno, le emissioni di diossina non danno tregua
«Ora abbiamo lo spettrofotometro»
Cioè?
«Grazie allo spettrofotometro dal 15 maggio l’Arpa potrà fare il monitoraggio continuo
delle diossine»
Un passo avanti rispetto al buio degli anni scorsi. Ma la diossina continua a crescere. 
Non lascia, anzi raddoppia
«Per questo la ricerca scientifica e il monitoraggio continuo garantiranno la massima
attenzione sulla qualità dell’aria in città»
Bene i controlli, ma gli interventi?
«Possiamo avvicinarci alla soglia di 0,4 nanogrammi di diossina per metro cubo d’aria, così come chiesto dal Consiglio comunale alla fine dello scorso anno. Ci avvicineremo a quella soglia. Sono fiducioso».
Ricorderà che la delibera di giunta comunale e la decisione in Consiglio furono accompagnate da non poche polemiche
«Non divaghiamo»
Alllora sindaco torniamo alla diossina. Che non molla...
«Dobbiamo unire le forze. Questa è una battaglia. Città e istituzioni devono stare insieme. La poliitica deve difendere l’Arpa e le sue professionalità». Ha annunciato l’avvio di esami sanitari sulla popolazione per vedere l’incidenza delle patologie legate all’inquinamento. «La ritengo una importante novità. Per quanto riguarda lo screening sanitario, partirà tra una ventina di giorni grazie alle risorse finanziarie della Provincia e vedrà impegnati anche Comune, Asl e Arpa. Lo studio cercherà di capire cosa è successo ai tarantini in questi anni in cui la nostra aria non è stata controllata»
Ha qualche timore?
«Lo screening sarà avviato dai medici dell’Asl e dal personale dell’Agenzia regionale per la protezione ambientale. Vogliamo capire bene cosa è successo e cosa succede alla salute dei tarantini. Si devono, eventualmente, individuare delle terapie che consentano di rallentare l’evolvere delle patologie correlate all’inquinamento o permettano addirittura di fermarle»
La seconda facoltà di Ingegneria di Taranto del Politecnico di Bari dice no all’accordo siglato il 25 marzo scorso tra Ilva e Università del Salento e della Basilicata per progetti di ricerca sull'innovazione tecnologica e produttiva e sull'ambiente.
E’ un no pesante come un macigno quello della facoltà jonica in seno ad un Senato accademico che, spaccandosi, da invece il suo assenso all’accordo. Argomentata, fortemente motivata la posizione del preside Orazio Giustolisi, a nome dell’intera facoltà, che ora pare porre di fronte alle proprie responsabilità mondo accademico e istituzioni locali. La decisione della facoltà di Taranto è maturata già un mese addietro (il 9 aprile scorso), nell’ambito di una riunione di Senato accademico che aveva inserito la questione tra le varie ed eventuali, ma tenuta sotto riserbo per evitare strumentalizzazioni in campagna elettorale.
«Operiamo in questo territorio, pertanto, ho ritenuto di dover esprimere il più profondo dissenso rispetto alla firma della convenzione quadro per responsabilità istituzionale e soggettiva nei confronti del territorio stesso ma anche del Politecnico», dice il preside Giustolisi, ben consapevole della delicatezza del quadro dei rapporti istituzionali «a cui la facoltà di Ingegneria di Taranto del Politecnico di Bari (rappresentata dal preside) non può e non deve sottrarsi per il bene dell’istituzione stessa e, non secondariamente, del territorio che la ospita».
L’accordo sottoscritto tra Ilva e le due Università del Salento e della Basilicata intende perseguire l’eccellenza scientifica, favorire le iniziative tendenti a migliorare la formazione accademica e professionale dei laureati, offrire a studenti e laureati l’opportunità di confronto con la realtà produttiva e imprenditoriale, puntare all’innovazione tecnologica e produttiva. La lettura della convenzione da parte della facoltà di Taranto è senza mezze misure. «Oggi l’Ilva ha evidente urgenza di collaborare con l’Università in quanto, a fronte di indiscutibili gravissimi problemi ambientali che sono causati dalla sua presenza sul territorio, ha anche problemi di sicurezza testimoniati dal numero di incidenti gravi avvenuti nello stabilimento.
E’ chiaro però - prosegue Giustolisi - che per porre rimedio a tutto ciò, l’Ilva avrebbe necessità non tanto si consulenze di ricerca per il trasferimento tecnologico, ma di lavori e consulenze prettamente professionali (di importi maggiormente elevati delle prime) per adottare nei suoi impianti tecnologie mature e note, indispensabili in un sistema industriale che oramai data da 50 anni. Non c'è da stupirsi allora - prosegue il preside - che l’Ilva preferisca confondere i due e più piani in quanto nei confronti della popolazione e degli stessi politici abbia necessità di un “confronto accademico- istituzionale” che cerca ovunque, con un atteggiamento squisitamente aziendale che mette in competizione le Università per fini di varia natura, ma facilmente intuibili.
Io - aggiunge Giustolisi -, al contrario delle Università della Basilicata e del Salento, sono presente ogni giorno a Taranto e purtroppo posso constatare direttamente quali siano quantomeno i problemi ambientali prodotti dall’Ilva sul territorio, prescindendo da leggi, soglie di inquinanti e quanto altro che lo inducano a far finta di nulla».
Alle dichiarazioni ufficiali in Senato, il preside Giustolisi aggiunge: «L'Ilva deve mettersi le mani sulla coscienza. Si badi, io non ce l’ho con l’Ilva che è u n’azienda ed è concepibile che un’azienda siderurgica non possa essere pulita, ma è un’azienda che potrebbe pianificare le strategie per migliorare la sicurezza e l’impatto ambientale. Una cosa deve essere chiara: non ci sono fattori compensativi. Non penso che con la ricerca l’Ilva possa abbattere il suo impatto ambientale.
Qui non è solo un problema di diossine e di limiti a tal proposito. Sarebbe come vedere le cose dal buco della serratura. Il punto è vedere se loro intendono veramente fare un’operazione sulla sicurezza e sull'impatto ambientale. La ricerca non è la voce principale per abbassare il loro impatto. D’altro canto la siderurgia non è nata ieri, alcuni strumenti per intervenire già ci sono mentre la ricerca ha tempi lunghi»
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