«Ilva senza autorizzazioni» Sequestrato il pet-coke
TARANTO — Blitz dei carabinieri del Nucleo operativo ecologico all'Ilva di Taranto. Soltanto ieri è stata data notizia di un'operazione ambientale risalente a mercoledì scorso. Su disposizione del pubblico ministero Daniela Putignano, i militari dell'Arma, in collaborazione con l'ufficio delle Dogane, hanno sequestrato un'area di circa 2.000 metri quadri all'interno della zona parchi minerali nella quale erano stoccate 16mila tonnellate di pet-coke, ovvero carbone da petrolio.
Denunciato a piede libero il rappresentante legale dell'Ilva. Un'operazione messa a segno proprio mentre i sindacati sollecitano un incontro sulla centrale elettrica Ilva e mentre sullo sfondo ancora riecheggiano le parole spese dai vertici industriali durante gli incontri in previsione della firma dell'Accordo di programma sull'autorizzazione integrata per l'Ambiente.
Proprio in base a tale accordo, l'Ilva dovrebbe impegnarsi ad adottare una serie di migliorie tecniche fra le quali l'utilizzo di combustibili meno inquinanti ed avviare un monitoraggio costante dell'emissioni di diossina. Per ora l'accusa è di aver depositato il pet-coke - importato dagli Stati Uniti - senza le necessarie autorizzazioni ambientali. Sono tuttavia al vaglio verifiche di natura fiscale ed analisi chimiche che potrebbero portare a nuove contestazioni ed al coinvolgimento di tutti i vertici aziendali.
Il valore del pet-coke sequestrato si aggira intorno ai due milioni di euro. Diverse le motivazioni alla base del maxi sequestro, il terzo in ordine di tempo dallo scorso dicembre nella provincia di Taranto. Secondo quanto reso noto dagli inquirenti, il coke sequestrato era destinato alla miscelazione con carbone fossile per la produzione di coke siderurgico, ovvero di acciaio misto, prodotto dalla mistura di carbone vegetale ed idrocarburi. Un mix che potrebbe far scattare ulteriori indagini, visti i severi limiti di legge previsti per questo genere di miscelazione.
All'industria viene contestato di aver destinato il coke ad un uso non consentito. Secondo l'accusa, allo stato in cui il materiale si trovava, non poteva neanche essere trasportato e stoccato nei modi in cui è stato lavorato e depositato all'interno dei parchi minerali.
Il materiale, giudicato pericoloso per l'uomo e per l'ambiente, sarebbe stato accumulato in un'area senza autorizzazione allo smaltimento nel sottosuolo di acque di dilavamento ed in assenza di autorizzazione alle emissioni in atmosfera. Si tratterebbe in sostanza di circa 16 mila tonnellate di rifiuti pericolosi gestiti illecitamente.
Pur essendo permessa la vendita come combustibile, le vigenti normative prevedono che il pericoloso materiale proveniente dagli scarti della lavorazione del greggio sia stoccato in aree predisposte attraverso una serie di precauzioni che in Ilva non sarebbero state previste. Ad aggravare la posizione dei vertici dello stabilimento industriale, la stessa destinazione del coke: secondo gli inquirenti, infatti, il materiale sequestrato non era destinato alla combustione ma bensì alla miscelazione per la produzione siderurgica.
Già nel dicembre 2007 il nucleo operativo dei carabinieri aveva posto i sigilli a centomila tonnellate di pet-coke proveniente dal sud America stoccato in un'area all'interno di Italcave. In relazione al caso di ieri, invece, l'azienda si dichiara fiduciosa sull'esito dell'esame della questione sottoposto ora al vaglio della magistratura. Il materiale preventivamente posto sotto sequestro rappresenta una parte insignificante rispetto alla quantità di materie prime che l'Ilva utilizza quotidianamente».
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