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Ancora inquinamento a Taranto

Mare inquinato, l’Ilva di Taranto dà la colpa al vento

Ilva, in tal modo, ha ammesso di non aver applicato le prescrizioni dell’AIA (Autorizzazione Integrata Ambientale) che prevedono lo scarico dei materiali con tecniche che evitino la dispersione delle polveri nell’ambiente e in mare
6 febbraio 2013
Alessandro Marescotti (Presidente di Peacelink)
Fonte: Il Fatto Quotidiano - 06 febbraio 2013

Ancora inquinamento a Taranto. Questa volta riguarda il mare. Una chiazza nerastra ha sporcato il mare nella zona portuale interessata allo scarico delle materie prime che alimentano il ciclo siderurgico dell’Ilva.

L’azienda ha dichiarato che il materiale è caduto in mare perché c’era vento. Chiazza nera Ilva

Ma è una buona comunicazione giustificare quanto è accaduto addossando la colpa al vento?

Ilva, in tal modo, ha ammesso di non aver applicato le prescrizioni dell’AIA (Autorizzazione Integrata Ambientale) che prevedono lo scarico dei materiali con tecniche che evitino la dispersione delle polveri nell’ambiente e in mare. 

Constatiamo inoltre che rimangono scoperti i nastri trasportatori che trasferiscono le materie prime dal porto alla fabbrica (nei “parchi minerali”). Quei nastri trasportatori dovevano essere coperti il 26 gennaio 2013 in quanto l’AIA dava 3 mesi di tempo a partire dal 26 agosto 2012.

Ma questa dei ritardi è una storia vecchia.

Vendola aveva più volte declamato – come presidente della Regione Puglia – di aver inserito tale copertura nell’atto di intesa del 2006, senza tuttavia far controllare che il tutto fosse effettivamente realizzato.

Ma a rassicurare Vendola c’erano dei bei volumi patinati dell’azienda. In uno di questi, stampato nel 2010, l’Ilva diceva di aver realizzato nel 2009 la copertura dei nastri trasportatori, lo si legge a pag. 5.

A Vendola tanto bastava.

Controllare che ciò fosse avvenuto era impresa ardua, occorreva arrampicarsi molto in alto.

Oggi scopriamo che tale copertura non è avvenuta in modo integrale e che è una parte “sofferente” dell’AIA. Come pure non è avvenuto il cambio radicale di scarico della nave che superi il rudimentale sistema della benna, che disperde le polveri al vento.

La questione di cui parliamo non è tanto tecnica: è una questione di credibilità delle istituzioni.

I cittadini non possono andare a controllare, ma le istituzioni che firmano intese sì: devono farlo.

E’ la questione su cui il gip Todisco si impunta, e ha ragione.

Occorreva in particolare un sistema sigillato che senza benne portasse su un nastro direttamente dalle stive delle navi ai parchi minerali le materie prime, completamente coperto e senza dispersione alcuna di polveri, come accade in altri porti evoluti.

Nell’AIA del 2011 era previsto di intervenire, dato che nel 2009 la magistratura aveva posto sotto sequestro quell’area di scarico (con facoltà d’uso). Va ricordato che il 7 aprile 2011 era stato siglato un accordo fra il sindaco di Taranto Stefàno, il contrammiraglio Giuffrè (Autorità Portuale), il capitano di vascello Zumbo (Capitaneria di Porto) e Archinà (Ilva) allo scopo di adottare “idonei sistemi e procedure atte ad evitare ovvero contenere la caduta in mare di materiale minerale e fossile”.

Che ne è stato di quell’accordo?

Non lo sappiamo.

Prevedeva una spesa di 600 mila euro. 

Andrebbe chiesto in primo luogo al Sindaco di Taranto, Ippazio Stefano, che ha firmato quell’accordo con Girolamo Archinàportavoce dell’Ilva attualmente in carcere.

Ancora una volta siamo di fronte a un pezzo di carta con un impegno di cui non si conoscono gli effetti. Mentre in mare anche oggi si è inquinato: per colpa del vento.

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